Con istanza del 25 u.s., un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia ha avanzato formale richiesta per la concessione di un giorno di congedo straordinario, da imputarsi a malattia, per sottoporsi (in data successiva) ad un esame diagnostico, allegando regolare prescrizione medica e conseguente prenotazione presso una struttura sanitaria pubblica.
Naturalmente, all’esito dell’esame avrebbe prodotto anche la certificazione rilasciata dal medico o dalla struttura che avrebbe effettuato la prestazione.
Quanto sopra, palesemente, per rispondere a sentimenti di lealtà e collaborazione che vanno ben al di là dei doveri direttamente connessi al rapporto sinallagmatico, potendosi ben comunicare l’assenza da imputarsi a malattia – per le ragioni anzidette – il giorno stesso della prestazione, con le modalità dettate dalle specifiche disposizioni interne.
Tuttavia, in data odierna un addetto all’Ufficio Segreteria della Casa Circondariale da Lei diretta ha comunicato verbalmente e senza fornire alcuna spiegazione di sorta il rigetto di tale istanza. Anzi, a specifica richiesta di un provvedimento e/o di una spiegazione, è stato riferito che non esisterebbe alcun provvedimento formale e che la decisione (?) non sarebbe stata espressamente motivata.
Tale operato, oltre a denotare ripugnanti livelli di tracotanza e di dispotismo amministrativi, è stato evidentemente perpetrato in violazione di una serie di norme tanto che, a parere di chi scrive, potrebbe persino sconfinare in ambito diverso da quello prettamente amministrativo, con particolare riferimento all’eventuale omissione nel compimento di atti dovuti.
La possibilità di assentarsi dal lavoro, a titolo di malattia, per sottoporsi a visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici – regolarmente prescritti da medico del servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato – discende direttamente dall’art. 32 della Carta Costituzionale e si ricava agevolmente da una serie di norme di legge, tra cui, da ultimo, il comma 5 ter, art. 55 septies, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Peraltro, sulla materia sono stati emanati molteplici atti di indirizzo e si segnalano, principalmente, la circolare n. 10/2011 dell’ 1 agosto 2011 del Dipartimento della Funzione Pubblica, nonché la lettera circolare n. GDAP-0312684-2011 del 17 agosto 2011 della Direzione Generale del Personale e della Formazione del DAP.
Ma, anche al di là della disattenzione alla disciplina appena richiamata, quel che più sconcerta e che appare, oltre che illegittimo, persino offensivo ed oltraggioso per la stessa dignità degli operatori dipendenti è che ad una formale istanza non consegua un regolare procedimento amministrativo che si concluda con un provvedimento espresso e motivato.
Ciò, manifestamente, non solo si pone in assoluto contrasto con i dettami di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ed integrazioni, ma impedisce pure agli interessati di poter intraprendere qualsiasi azione conseguente a difesa dei propri diritti ed interessi legittimi, ivi comprese eventuali impugnative.
Anche in nome e per conto dell’appartenente alla Polizia penitenziaria interessato, si invita pertanto la S.V. a voler fornire urgentissimi e circostanziati chiarimenti in ordine a quanto accennato.
Nell’attesa, distinti saluti.